But they are different in urban planning strategies and in what is the 'new' energy for the future of the city.
As Rifkin wrote, a civilization ends for an energy crisis. For example Roman Empire ended for an agriculture crisis, after the surrounding soil of the city wasn't able to produce enough food. Our energy is clearly more complex, we need food, but also electric power and hydrocarbons. New energy is not only the green one, but also a new social enrichment, by which we can try to decrease the obsolescent needs of the city in terms of energy. Perhaps a new metabolism must consider citizens as a social productive source, not only as consumers. Someone calls them prosumers, giving them the responsability to be like small sustainability systems, in which inputs (in terms of used goods) don't have to exeed outputs (in terms of artifacts, or goods). We could also consider that these small systems must use small energy and produce small waste, or use it to produce some other goods (i.e. energy or soil).
After reading Apocalypse Town by Coppola (it isn't a joke, I'm not kidding you) on the recent shrinking of cities in the so-called Rust Belt (in the north-eastern part of U.S.A.) I've understood that the matter of future transformation of existent (and also exhausted) cities isn't the found-raising among the international actors to renew the old city, but the changing of planning strategy.
The idea of Smart City is a way to say 'we have the money, but we have to use it in a better way!'. And the principal strategy is to create more interaction among previously separeted systems (i.e. infrastructures, green, residential areas, central spaces, et cetera), just to save energy and money, using the information technology as a 'free' connector and accelerator of processes.
But the real fact is that we don't have money, and we cannot simply sell of spaces and rules just to try to collect some 'nomadic' international founds. The risk is clearly underlined by Baumann in his books: this will corrupt the roots of the civilization, the welfare system and the power of identity.
Rust Belt clearly shows how the traditional strategies fail in the urban renewal when it has to do with the raising of shrinkinage. When a big city looses density and lots of void spaces appear in the suburbia the first way to reduce costs would be litteraly displacing spotted residential areas, newly collecting them together in a dense area. But in the same time (just not to completely dismiss existent infrastructures, as streets and pipelines) municipality must be faithfully prepared for a new future expansion, keeping infrastructures in function. Density is a good principle to save private money (to reduce time and money for the big distribution of food, for example) and to let the prizes of soils rise again, but it has no direct usefull output for citizens (nor for public balance). Density was good for everybody only in a rising economy, in which workers earn enough money to pay the rising prizes (of goods, soils and houses).
This system can be quite good when nobody suffers (or feels damaged), and the real solution in case of crisis of the system itself (i.e. what seems to works just now) is to let bottom-up strategies to re-design urbanity (the existing ones).
Also in U.S.A. people are working in almost 4 ways:
- deconstruction of existing buildings as a reverse-fase, collecting and selling used materials
- organizing social functions themselves (i.e. urban security)
- developing urban agricolture, common gardens and empowering food security (like Growing Power inc. in Milwaukee, with it's acquaponic system)
Will Allen (founder of Growing Power), harvesting. |
- developing real off-grid strategies (like composting urban wastes or harvesting water)
The risk is that a bottom-up strategy becomes a bottom-up policy, reducing the leading role of public administrations, and, in a S.F. perspective, leading to a civil war. But some good news come from the front, in fact Seattle administration (it is a liberal one) introduced some important facilities for urban agricolture, not only to make them easier to develop, but mainly to keep them in a whole project for the future of the city.
We face a time in which future is closely dependent to micro-strategies of developing, a molecular network, with no clear leaders or decision-makers. And governments don't have clear instruments to give this molecular network a direction. They are too slow in decision-making and too enclosed to welcome this real new rising powers, which could lead to a complex system made of lots of simple ones, connected together.
This is the raising metabolism, a low-tech sustainability based on decrease.
(italian version)
Se tentiamo di tracciare una linea di separazione tra il ‘vecchio’ concetto del metabolismo urbano e la ‘nuova’ idea di smart city scopriremo che in realtà condividono molti principi. Entrambi cercano di ripensare le città come entità complessive, tentando al contempo di progettare sistemi complessi che permettano loro di funzionare in tal modo. Entrambe le strategie (o ideologie?) cercano di abbandonare la vecchia idea di città-macchina per introdurre il ruolo guida dell’abitante, il cittadino.
Ma metabolismo urbano e smart city sono differenti nelle strategie di pianificazione e nel considerare la reale ‘nuova’ energia per il futuro delle città. Come ha scritto Rifkin, una civiltà finisce a causa di una irrimediabile crisi energetica. Per esempio l’Impero Romano si sfaldò a causa di una crisi agricola, dopo che il terreno attorno a Roma non fu più in grado di produrre abbastanza cibo. L’energia di cui abbiamo bisogno oggi è evidentemente più complessa, abbiamo bisogno di cibo, ma anche di energia elettrica e idrocarburi. La nuova energia a cui mi riferisco non è solo quella ‘verde’ di una green economy in grande espansione, si tratta anche di considerare un nuovo arricchimento sociale, attraverso il quale poter tentare di ridurre le obsolete necessità energetiche della città. Forse un nuovo metabolismo dovrebbe considerare i cittadini come una risorsa sociale produttiva, non solo come consumatori. Qualcuno ha definito il ruolo socio-economico di tali figure come prosumer (neologismo che unisce pro-ducers / produttori / a con-sumers / consumatori/), dando loro la responsabilità di essere a loro volta come piccoli sistemi auto-sostenibili, nei quali gli input (in termini di beni consumati) non superano gli output (in termini di artefatti, beni, servizi).
Density was good for everybody only in a rising economy, in which workers earn enough money to pay the rising prizes (of goods, soils and houses).
Dopo aver letto Apocalypse Town di A. Coppola sulla recente contrazione spaziale delle città americane nella cosiddetta Cintura della Ruggine (Rust-Belt, nella parte nord-est degli Stati Uniti) ho compreso come la questione della trasformazione delle città esistenti (e ormai esauste) non vada affrontata scovando nuovi capitali internazionali per il loro rinnovo urbano, ma attraverso il cambiamento della strategia di pianificazione.
L’idea della Smart City è un modo per dire ‘abbiamo i soldi, ma dobbiamo usarli nel modo milgiore!’. E la strategia principale sembra essere quella di creare più interazione tra sistemi attualmente isolati (ovvero le infrastrutture, il verde, la mobilità, le aree residenziali, i luoghi centrali, ecc.), con lo scopo principale di massimizzare l’utilizzo di energia e quattrini, usando l’IT (information technology) come un connettivo ‘free’, un acceleratore dei processi.
Ma la realtà è che non abbiamo quattrini, e non possiamo semplicemente svendere spazi e regole di pianificazione per tentare di accalappiare parte di quei capitali ‘nomadi’ che circolano liberamente e globalmente, senza legame alcuno con i territori urbanizzati (ovvero completamente disinteressati e inevitabilmente liberi di abbandonare i lunghi e tortuosi processi di rinnovo urbano in qualsiasi momento). Il rischio è sottolineato da Baumann nei suoi testi: questo corromperebbe le radici della civiltà, il welfare e il potere dell’identità locale e nazionale. La Rust Belt ci mostra chiaramente come le tradizionali strategie di pianificazione falliscono nel rinnovo urbano nel momento in cui si ha a che fare con il restringimento fisico delle dimensioni della città. Quando una grande città perde densità e appaiono molti lotti vuoti nel suburbio, la prima strategia per ridurre i costi sarebbe letteralmente dislocare a forza i residenti e le aree abitate, in modo da raddensarle nuovamente. Ma allo stesso tempo (per non abbandonare completamente le infrastrutture al declino inevitabile) si dovrebbero mantenere attivi i sottoservizi (tubature e strade), per le future (e sperate) nuove espansioni del nucleo urbano. Dunque, a ben vedere, la densità è solo un principio utile a salvare i capitali privati (riducendo i costi per le grandi distribuzioni di cibo e beni, ad esempio) e a permettere l’innalzamento del costo del suolo edificabile (o degli immobili centrali esistenti), ma non ha un beneficio diretto per i cittadini (o per il bilancio pubblico, poiché, come detto, dovrebbe comunque mantenere attive le infrastrutture esterne alla Inner City).
Aggiungo (nella versione in italiano) che in caso di dipendenza dalla distribuzione di cibo (dalla piccola alla grande), la densificazione potrebbe (forse) evitare il ‘food desert’ dovuto alla distanza dai grandi ipermercati, supponendo però che il bacino di abitanti (della ricostituita Inner City) sia sufficientemente appetibile rispetto ai grandi suburbi della città diffusa esterna al centro-città. Poiché tuttavia la grande distribuzione alimentare è sempre più globalizzata non ritengo che si possa stabilire una correlazione diretta tra densità e assenza di ‘deserti del cibo’. La densità è stata quindi un’ottima strategia per le economie in fase di sviluppo e crescita, nelle quali i lavoratori guadagnavano abbastanza per permettersi il continuo innalzamento dei prezzi al consumo (di beni e anche di suoli edificabili).
Questo sistema può ancora funzionare fino a quando nessuno soffre eccessivamente (o si sente danneggiato), e nel caso di crisi la soluzione reale sembra quella di permettere a strategie provenienti dall’autorganizzazione dei cittadini di ri-disegnare l’urbanità (esistente).
Anche negli Stati Uniti le persone stanno lavorando in almeno 4 direzioni:
- Decostruzione degli edifici esistenti come una fase inversa (rispetto alla costruzione), raccogliendo e rivendendo i materiali (usati) da costruzione;
- Organizzazione di funzioni sociali in modo autonomo (come la sicurezza delle strade);
- Sviluppando l’agricoltura urbana, giardini pubblici/comuni e rafforzando la sicurezza alimentare (come la Growing Power di Will Allen, a Milwaukee, colla cultura acquaponica);
- Sviluppando reali strategie off-grid/autosufficienti (come il compostaggio dei rifiuti urbani o la raccolta e lo stoccaggio delle acque meteoriche)
Il rischio è che le strategie bottom-up divengano politiche autoreferenziali, riducendo il ruolo di guida delle pubbliche amministrazioni, e, in una prospettiva da fantascienza, possano portare alla guerra civile. Ma ‘buone notizie giungono dal fronte’, infatti l’amministrazione di Seattle ha introdotto alcune importanti semplificazioni per l’agricoltura urbana, rendendola non solo più semplice da sviluppare, ma con l’obiettivo principale di applicare tali facilitazioni all’interno di un’idea generale di futuro per la città.
Ci troviamo in un tempo in cui il futuro è strettamente dipendente da micro-strategie di sviluppo, una rete molecolare senza precisi leader o strateghi (almeno non in grado di mettere a sistema tale network per il futuro dell’economia e del sostentamento globali). E i governi non hanno ancora strumenti chiari ed efficaci per dare direzione a tale rete molecolare. Sono troppo lenti nel prendere decisioni e troppo chiusi per accogliere queste nuove potenzialità in via di sviluppo, che potrebbero condurre ad un sistema complesso composto da molti sotto-sistemi semplici, tra loro connessi. Questo è il nuovo metabolismo, una decrescita basata su una sostenibilità a bassa tecnologia.
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