critics+practices in contemporary architecture and spatial planning - critica, teoria e prassi in architettura e pianificazione urbana

martedì 30 aprile 2013

URBAN EXPERIMENTS, quando ancora si parlava di avanguardia

Credo che si utile, come sintesi generale, considerare il fatto che la ricerca contemporanea in architettura abbia radici negli esperimenti urbani del periodo 1950-2000. E' un cinquantennio che raccoglie tendenze molto articolate, ma rappresenta le risposte e gli spunti dati da almeno due generazioni di progettisti alla devastazione causata dalla seconda guerra mondiale.



La parigina Fondazione Regionale di Arte Contemporanea (FRAC Centre) raccoglie dal 1999 nel suo ArchiLab modelli e disegni di quel periodo, delineando ex-post alcune categorie notevoli:

- The Pulsating City: il corpo come laboratorio
- The Endless City: un ambiente in espansione
- The Deconstructed City: creare una nuova sintassi
- The Contextualized City: una simbiosi computerizzata

Nel saggio 'The Alter Ego and Id Machines' (contenuto nel catalogo) Hajime Yatsuka afferma che la macchina sia il tema più o meno nascosto di tutta la Modernità, sia per l'architettura, che per l'urbanistica che per l'arte.
Affermazione che condivido, poiché la macchina è il paradigma fattuale e agente parallelo al linguaggio, con molte analogie (regole interne, principio di causa-effetto, mix tra estetica e funzionalità - nasce in questo periodo l'industrial designs...), ma anche con una diversità fondamentale: il ruolo del soggetto nel paradigma.
Nella macchina il soggetto è contemporaneamente agente e agito, e in questo shifting il soggetto ritrova positivamente la propria libertà attraverso l'azione e la deriva, imponendo in alcuni casi anche alla città un'ibridazione fuori scala, provocatoriamente tesa a far esplodere l'identità delle città nel molteplice dell'immaginario collettivo.
Invece nel linguaggio l'obbligo all'efficacia della comunicazione costringe il paradigma ad essere più serrato, ma attraverso l'ibridazione con l'arte (per la quale la comunicazione avviene in un piano estetico e non linguistico) si costituisce una triade notevolissima, in cui soggetti ed oggetti si ritrovano ad essere parte di un paradigma estetico-funzionale così fluido da vedere indebolite quasi tutte le categorie della prassi architettonica ed urbanistica, quali, ad esempio:
- divisione funzionale
- separazione pubblico-privato
- separazione interno-esterno
- separazione verticale-orizzontale
- organizzazione 'igienica' alto-basso
- adozione dell'infinito come orizzonte spaziale
- scala indifferenziata (dall'edificio-città, alla città-macchina e alla macchina da abitare)
- identità fluida/variabile

La sola invariante a tutte le ricerche raccolte dal FRAC Centre è il fatto che la città è il campo privilegiato di molte ibridazioni tra i paradigmi di arte, architettura e urbanistica. E' la sua peculiare densità (concettuale e fattiva) a scatenare le ibridazioni che cambieranno potenzialmente il presente nel futuro.
Per la prima (e forse unica) volta l'utopia e l'eterotopia si confondono negli sguardi dei progettisti, i quali sembrano continuamente sovrapporre alla realtà le loro visioni (e in questo la tecnica del collage era incredibilmente aderente allo scopo paradigmatico). Si creava un nuovo immaginario, rappresentando l'utopia. E l'insieme stesso di queste rappresentazioni costituivano una sorta di brainstorming eterotopico.

Leisure Time, di Haus-Rucker & Co.
No-Stop City, di Archizoom.


Oggi il nostro altro mondo ha assimilato la macchina come principio procedurale, depotenziandone la carica eversiva e avanguardista. La nostra macchina (il computer, la rete, la networking society, il mix dei tre...) è priva di estetica, non coinvolge la nostra percezione sensibile in modo sinestetico ma privilegiando la vista e il tatto (per ora). Per tale radicale capillarità (e dipendenza) la macchina non costituisce più il nostro altro, il molteplice rischia di essere appiattito nell'alterazione piuttosto che nell'alterità.

Le Grand Verre (ou La Mariée mise à nu par ses célibataires, même) Marcel Duchamp, 1912/1923


Mi viene in mente ora la patafisica, ovvero quell'insieme di esperienze artistiche e letterarie che presero corpo teorico attorno al Grande Vetro di Duchamp. Si trattava di mostrare il fatto che la macchina era un concetto generale, indipendente dalle funzioni svolte. E in tale concetto ci si poteva riconoscere, in uno straordinario mix tra vetro-finestra e specchio che rendeva sociale la visione dell'opera. Ma la distanza era determinante, il movimento dello sguardo-corpo anche. Forse i nuovi occhiali di Google proporranno un giorno il Doodle dedicato al Grande Vetro, e allora tutti mangeremo cioccolato....

martedì 23 aprile 2013

[i]LIVING, la rimozione del rimosso


Ho finalmente avuto il tempo di dedicare un po' di tempo web al progetto [im]possible living, un interessante mix di start-up, piattaforma di crowding, social network multidispositivo dedicato alla rifunzionalizzazione del territorio.
E devo dire che è un progetto incredibile, semplice ed efficace, l'applicazione di un pensiero laterale disarmante. I testi e gli slogan sono estremamente social, rivolti all'attivismo partecipativo tipico di un approccio DIY alle trasformazioni urbane.


home di http://www.impossibleliving.com/

Dopo aver scorso la proposta di [im]possible living m'è parso di scorgere, su tutte, un'idea di notevole interesse, legata in qualche modo alla simultaneità. Si tratta della procedura di rimozione del rimosso secondo una sorta di terapia condivisa, atta a palesare in modo social gli edifici de-funzionalizzati. Se è vero che la città costituisce il principale contesto del nostro immaginario collettivo (il quale ha a che fare con il nostro spirito civico e il nostro senso del tempo, rispolverando un vecchio Hegel) allora in essa si accumulano da tempo le scorie dei nostri insuccessi progettuali, rappresentazioni dei nostri rimossi, appunto. E la 'cura' a tutto questo (quanto dovrebbe dunque permetterci di approdare ad un maggiore equilibrio tra ciò che siamo e ciò che dovremmo essere, scomodando qui Freud) è ancora una volta affrontare tali insuccessi e ri-metabolizzarli in chiave evolutiva.
La parola chiave è dunque quel IMPROVE, ben diverso da quei paradigmi che ritengono la città come mero meccanismo-organismo funzionale, e forse differente anche dal considerare la città come device-interfaccia. La città deve essere accettata (leggi 'metabolizzata') per ciò che è: la rappresentazione di un reiterato tentativo di convivenza a tutte le scale. Ed essa non è un'entità autoreferenziale, ma il risultato dei differenti gradi di consapevolezza e partecipazione dei suoi cittadini.
Ottimo lavoro del team di [im]possible living, che ha un board interessante, e che riportiamo qui di seguito per i più pigri:


CURVED SURFACES, perché abbiamo abbandonato Cartesio?

Nel suo CONTENT Koolhaas riassumeva la sfida tra box cartesiani e blob parametrici con un'immagine pixelata di un videogame anni '90, indicando queste caratteristiche per gli sfidanti:

BLOB:
energy bar: fondata su teorie formali, formule matematiche e computazione
mosse: fluidità, asimmetria, biomorfismo, dinamiche strutturali, molteplicità

BOX:
energy bar: fondata sull'appeal intuitivo dell'ortogonalità
mosse: razionalità, numero aureo e proporzioni, universalità, esattezza

Koolhaas riconduce la 'sfida' tra i due paradigmi formali ad un'apparente opposizione tra il particolare e l'universale, mostrando al contempo che la superficie curva implica una sorta di esattezza non umana (appunto computazionale). Tale matematismo delle curvature computerizzate le allontana dal nostro comune sentire, le forme sono mediate e evidentemente molto più seduttive quando le si vede (in un render piuttosto che dal vivo).
La geometria del Box ortogonale è basica (e classica, ovvero radicalmente euclidea), dimostrabile; essa può essere controllata, misurata e compresa dai sistemi di rappresentazione ortogonale, per cui l'equilibrio compositivo nelle due dimensioni dei prospetti corrisponde proiettivamente ad un equilibrio compositivo dei volumi. In questo controllo risiede il suo appeal intuitivo.
La geometria del Blob è complessa, essa è inizialmente assoluta e astratta (dunque matematicamente universale) ma senza l'ausilio di adeguati sistemi di calcolo e rappresentazioni digitali risulta faticosamente controllabile nelle due dimensioni: le servono plastici, modelli tridimensionali (non solo digitali), e senza l'ausilio del software la sua scala risulterebbe relegata alla casa, non certo alla città (ricordiamo che Kiesler e Gaudì, seppur diversi, necessitavano di laboratori per modellizzare le proprie intuizioni formali prima di consegnarle alla cantierizzazione.

spaccato della cupola del Brunelleschi (XV sec.)

Inizialmente, dunque, il Blob ha caratterizzato un anelito di apertura dei confini compositivi del Box, seppur nel limite fisico imposto dai sistemi costruttivi (poiché la realizzazione delle opere era l'implicita conferma della loro validità ed esistenza nel mondo come contributo al progresso della cultura architettonica). Per estensione possiamo affermare che il Blob ha proseguito quindi la grande tradizione di teorizzazione pratica iniziata con la cupola fiorentina di S. Maria Novella, ad opera del Brunelleschi (inizio XV secolo)
Lo stesso Ghery, per sua prassi progettuale, si inserisce in questo filone, seppur avvalendosi di strumenti complessi: la 'partenza' è un modello in scala adeguata, che poi viene 'tradotto' in elementi costruttivi.

F. Kiesler a lavoro (1964) 
 da http://www.frederickkieslerestate.com
Questa la ragione paradigmatica e storica della potenzialità del Blob: esso elide il controllo moderno (per il quale rappresentazione, costruzione e coerenza sistemica e formale sono fondamenti irrinunciabili per una adesione veritativa al mondo) per rimettere in moto il paradigma compositivo.
Cerco di esser più chiaro.
L'assunto iniziale della composizione moderna è che l'uomo progetta le forme in modo proiettivo. Nonostante la pretesa platonica di rinchiudere le forme tra le idee, la prassi umana ha sempre proiettato nelle forme una universalità antropologica: il numero aureo, fino al Modulor di Le Corbusier, costituisce una regola che nasce, geometricamente, dall'osservazione delle proporzioni naturali (anche umane). Dunque l'ortogonalità (che racconta geometricamente la nostra biassialità, il nostro verticale/orizzontale, il nostro avanti/indietro, ecc...) è la trasposizione universale dell'uomo sulle forme. Per questo l'ortogonalità è intuitiva, essa è prassi di pensiero, teoria esecutiva per l'antropizzazione del mondo.
modello catenario di Gaudì -
da http://atmosphericfront.wordpress.com
Aggiungiamo che l'ortogonalità, nascendo dall'incontro tra due rette di riferimento (come accade nel piano cartesiano) è l'estrema sintesi dell'infinito. Senza ascisse e ordinate non sarebbe nemmeno possibile (dal punto di vista della rappresentazione delle funzioni matematiche) studiare e analizzare le proprietà matematiche delle curve. Come scrisse Koolhaas nel suo Delirious NY   'tutto accade nella griglia di Manhattan': è una griglia che potrebbe estendersi all'infinito, come a Barcellona...
Grazie agli strumenti cartesiani eravamo soggetti indagatori e consapevoli dell'errore derivante dalla nostra percezione sensibile.
Inoltre con Cartesio (e con Galileo) tale dubbio scientifico era la premessa dogmatica dell'innovazione, poiché, epistemologicamente, era viva la consapevolezza che i paradigmi di lettura del mondo non andavano accettati come dogmi, ma come strumenti.
Tuttavia il paradigma moderno, nel momento in cui ha relegato l'innovazione nell'ambito della tecnica, ha costretto le forme ad una ripetizione reiterata, con poche sperimentazioni e prototipizzazioni (principalmente consumate, nell'architettura, nella prima metà del XX secolo).
La decomposizione paradigmatica dell'unità compositiva in elementi tecnici (struttura, tamponamento, impianti, ecc...) ha aggiunto l'evidente depotenziamento della nota triade vitruviana (utilità, solidità spazio temporale, bellezza), poiché si è dovuto concedere, nelle opere d'architettura, sempre maggiori spazi tecnici, che hanno tradotto l'architettura dall'essere riparo e rappresentazione civile ad essere macchina - utensile - interfaccia.
L'incapacità di attuare quel controllo previsto dal paradigma moderno ha condotto ad un progressivo abbandono della triade vitruviana (posto che essa costituisce uno dei primi paradigmi dell'architettura occidentale), degli equilibri interni che essa proponeva.

design parametrico 
 da http://ghhummingbird.wordpress.com
Infine anche il sodalizio tra rappresentazione, costruzione e coerenza sistemica e formale è stato sottoposto a decomposizione, col risultato che gli stessi strumenti paradigmatici hanno cominciato a prevalere uno sull'altro, fino alla recente vittoria della rappresentazione.
La più recente rappresentazione digitale è effetto (e non causa) di questo progressivo scollamento tra il design e l'oggettualità del mondo. Si è formato un layer funzionalmente svincolato dal mondo in cui si rimescolano l'immaginario, l'innovazione tecnologica, la sperimentazione formale, in cui collidono e si ibridano intere famiglie geometriche. La porosità e l'elevata (e complessa) interattività di questo layer ne garantiscono  un generico continuo rinnovo (ma anche un sotterraneo riciclo di ipotesi formali), senza che sia necessariamente richiesta (a prova di efficacia) alcuna ricaduta sul mondo.
In tal senso (e solo nel contesto di quel paradigma moderno di controllo) oggi il Blob (e i suoi derivati) costituisce la rappresentazione simbolica di una dimensione compositiva autoreferenziale, in cui il controllo non è condizione necessaria e per il quale risulta paradigmaticamente impossibile dar conto di una scomposizione in elementi delle opere d'architettura.
La sua efficacia risiede dunque non solo nella novità delle forme (affascinanti e seduttive perché son tutto tranne che semplici macchine, così come molti altri prodotti smart contemporanei), ma anche per la sua aderenza a quel paradigma della simultaneità che stiamo cercando di delineare e comprendere. Ogni forma-Blob ne racchiude (in una densità indefinibile) infinite altre, il suo infinito non è misurabile per estensione, ma per densità ed inclusione. Ogni curva potrebbe essere molte curve, per questo si pensa che il Blob sia genericamente biomorfo (dunque per la sua potenziale varianza). In realtà chi ha analizzato i principi formali negli organismi viventi ha rilevato che le forme naturali seguono un radicato principio di necessità, poiché in natura l'errore si paga con l'assenza.

La mia personale e conclusiva nota sul rapporto tra Blob e soggetto è la seguente: stiamo sperimentando una straordinaria vertigine per cui siamo immersi (e parzialmente inconsapevoli) in una sovrapposizione tra immaginario e realtà, tra potenza e atto, tra un futuro che ci appare simultaneamente angosciante e innovativo, in un contrappunto poderoso al paradigma moderno; ora il problema, in questo oceano di possibilità, è l'applicazione della progettualità stessa, e del suo essere in primis decisionale, ovvero un setaccio del possibile. Saremo noi sufficientemente colti (e in grado di contemplare ragionevolmente) al punto di non perderci nella realtà aumentata della rappresentazione collettiva dei nostri immaginari?

martedì 2 aprile 2013

IoT (Internet of Things), Tribewanted e applicazioni loco-globali

Mi è parso divertente invertire il vecchio neologismo glocal in loco-glob, a indicare un fenomeno (anche in chiave imprenditoriale) che mira, seppur secondariamente, a sostituire il principio di controllo oligarchico e transnazionale con quello di ordine locale emergente.
Il loco-glob ha certamente genitori illustri, come il Transition Network, o TerraMadre. Ma sembra che abbia trovato la sua dimensione nella simultaneità grazie all'ausilio del crowdfunding (piattaforma di condivisione degli obbiettivi tra molteplici microfinanziatori a progetto). Illuminante esempio di applicazione delle potenzialità simultanee della Rete nell'intervento urbano è il fenomeno TRIBEWANTED, di Filippo Bozotti e Ben Keen. Si tratta di un progetto di crowdfunding per la creazione di villaggi sostenibili (ovvero strutturalmente basati su quel generale off-grid economico, energetico e sociale che comunità analoghe propongono).
Traggo spunto dall'articolo edito su La Stampa (cartaceo) del 31 marzo 2013, in cui Bozotti racconta che "siamo nati come una community on-line. Poi, sul modello crowdfunding, abbiamo dato vita a comunità reali". Il giornalista E. Caporale aggiunge che 'ogni iscritto al sito web versa 10 sterline al mese per un anno. Il credito acquisito potrà essere utilizzato come acconto per soggiornare nelle comunità sostenibili. Mille iscritti significano un nuovo villaggio'.

La home di www.tribewanted.com
L'aspetto che mi pare assolutamente interessante di Tribewanted è che dimostra come il layer dei flussi virtuali-attuali che interagiscono in Rete possa ormai giungere a prender corpo nella realtà, per ora generando comunità quasi-istantanee, che propongono un progetto di collettivizzazione partecipata della dimensione urbana, spostandone l'ambito semantico sul villaggio.

Il loco-glob si basa su un principio fondante, ovvero quello della condivisione. La sua 'moneta di scambio' è un mix di energia personale, volontà e giusta remunerazione, a dimostrazione che il principio universalizzante della moneta (divenuto principale meccanismo simbolico e traduttore globale di valore) sta rientrando nei propri confini naturali, dopo aver dominato alla fine del XX secolo.

La moneta aveva anche funzione di rappresentazione, laddove mostrava, con il proprio potere di acquisto e di codifica economica dei beni mondiali, la foza mercantile degli stati. In questo paradigma glocale si è mostrato con evidenza il fatto che attraverso il controllo del mercato finanziario è possibile indirizzare e forzare la rappresentazione e le prospettive future degli stati, manipolando le identità nazionali in modo sovranazionale.

Ora, dopo che i social network, hanno contribuito alla traduzione delle identità dei soggetti nei profili soggettivi e account, accogliendo non solo una nuvola di storytelling più o meno molecolare, ma anche immagini e le più svariate forme di autorappresentazione, la nuova massa mediatica (a identità multipla) è giunta ad un livello di fiducia condivisa tale da poter generare ricadute nella realtà.
E qui si dimostra come il meccanismo simbolico della moneta abbia avuto la necessità strutturale (ma taciuta) di operare un appiattimento dei principi di valore (o una loro disintegrazione) e di negare la fiducia come connettivo strutturale (preferendo, in alcuni casi, tradurla in termini di indicatori economici, come lo spread).
Ricostituire la fiducia come conditio sine qua non del legame sociale futuro è un ottimo punto di partenza per tentare l'esperimento di creare comunità in realtà aumentata, ovvero comunità nelle quali il layer reale e quello della community senza distinzione territoriale entrano in contatto, ibridandosi reciprocamente.
La rivoluzione è evidente, poiché anche l'insediamento umano (e urbano) diviene potenzialmente un device della Rete, cioè un elemento strutturale alla manifestazione fisica della Rete.
Va da sé che la città (sia essa smart o un villaggio loco-glob) verrà riletta come una unità complessa, al pari di un grande elettrodomestico dotato di funzioni e applicazioni, da sottoporre a manutenzione (se necessario) e da riparare in toto (e non per parti). La prospettiva è dunque ribaltata: la Rete impone la propria manifestazione urbana, non si attesta più ad esserne ancella e dispositivo per la semplice comunicazione.
In fin dei conti questo è un po' l'orizzonte della I.o.T. (Internet delle Cose), realtà aumentata (dunque reale e virtuale insieme) per la quale all'utente verrà richiesto un certo investimento emotivo e conoscitivo maggiore, pena l'esclusione dai processi partecipativi (dunque, in una battuta, col rischio di essere assunti dalla propria auto come lavavetri...).