critics+practices in contemporary architecture and spatial planning - critica, teoria e prassi in architettura e pianificazione urbana

martedì 23 aprile 2013

CURVED SURFACES, perché abbiamo abbandonato Cartesio?

Nel suo CONTENT Koolhaas riassumeva la sfida tra box cartesiani e blob parametrici con un'immagine pixelata di un videogame anni '90, indicando queste caratteristiche per gli sfidanti:

BLOB:
energy bar: fondata su teorie formali, formule matematiche e computazione
mosse: fluidità, asimmetria, biomorfismo, dinamiche strutturali, molteplicità

BOX:
energy bar: fondata sull'appeal intuitivo dell'ortogonalità
mosse: razionalità, numero aureo e proporzioni, universalità, esattezza

Koolhaas riconduce la 'sfida' tra i due paradigmi formali ad un'apparente opposizione tra il particolare e l'universale, mostrando al contempo che la superficie curva implica una sorta di esattezza non umana (appunto computazionale). Tale matematismo delle curvature computerizzate le allontana dal nostro comune sentire, le forme sono mediate e evidentemente molto più seduttive quando le si vede (in un render piuttosto che dal vivo).
La geometria del Box ortogonale è basica (e classica, ovvero radicalmente euclidea), dimostrabile; essa può essere controllata, misurata e compresa dai sistemi di rappresentazione ortogonale, per cui l'equilibrio compositivo nelle due dimensioni dei prospetti corrisponde proiettivamente ad un equilibrio compositivo dei volumi. In questo controllo risiede il suo appeal intuitivo.
La geometria del Blob è complessa, essa è inizialmente assoluta e astratta (dunque matematicamente universale) ma senza l'ausilio di adeguati sistemi di calcolo e rappresentazioni digitali risulta faticosamente controllabile nelle due dimensioni: le servono plastici, modelli tridimensionali (non solo digitali), e senza l'ausilio del software la sua scala risulterebbe relegata alla casa, non certo alla città (ricordiamo che Kiesler e Gaudì, seppur diversi, necessitavano di laboratori per modellizzare le proprie intuizioni formali prima di consegnarle alla cantierizzazione.

spaccato della cupola del Brunelleschi (XV sec.)

Inizialmente, dunque, il Blob ha caratterizzato un anelito di apertura dei confini compositivi del Box, seppur nel limite fisico imposto dai sistemi costruttivi (poiché la realizzazione delle opere era l'implicita conferma della loro validità ed esistenza nel mondo come contributo al progresso della cultura architettonica). Per estensione possiamo affermare che il Blob ha proseguito quindi la grande tradizione di teorizzazione pratica iniziata con la cupola fiorentina di S. Maria Novella, ad opera del Brunelleschi (inizio XV secolo)
Lo stesso Ghery, per sua prassi progettuale, si inserisce in questo filone, seppur avvalendosi di strumenti complessi: la 'partenza' è un modello in scala adeguata, che poi viene 'tradotto' in elementi costruttivi.

F. Kiesler a lavoro (1964) 
 da http://www.frederickkieslerestate.com
Questa la ragione paradigmatica e storica della potenzialità del Blob: esso elide il controllo moderno (per il quale rappresentazione, costruzione e coerenza sistemica e formale sono fondamenti irrinunciabili per una adesione veritativa al mondo) per rimettere in moto il paradigma compositivo.
Cerco di esser più chiaro.
L'assunto iniziale della composizione moderna è che l'uomo progetta le forme in modo proiettivo. Nonostante la pretesa platonica di rinchiudere le forme tra le idee, la prassi umana ha sempre proiettato nelle forme una universalità antropologica: il numero aureo, fino al Modulor di Le Corbusier, costituisce una regola che nasce, geometricamente, dall'osservazione delle proporzioni naturali (anche umane). Dunque l'ortogonalità (che racconta geometricamente la nostra biassialità, il nostro verticale/orizzontale, il nostro avanti/indietro, ecc...) è la trasposizione universale dell'uomo sulle forme. Per questo l'ortogonalità è intuitiva, essa è prassi di pensiero, teoria esecutiva per l'antropizzazione del mondo.
modello catenario di Gaudì -
da http://atmosphericfront.wordpress.com
Aggiungiamo che l'ortogonalità, nascendo dall'incontro tra due rette di riferimento (come accade nel piano cartesiano) è l'estrema sintesi dell'infinito. Senza ascisse e ordinate non sarebbe nemmeno possibile (dal punto di vista della rappresentazione delle funzioni matematiche) studiare e analizzare le proprietà matematiche delle curve. Come scrisse Koolhaas nel suo Delirious NY   'tutto accade nella griglia di Manhattan': è una griglia che potrebbe estendersi all'infinito, come a Barcellona...
Grazie agli strumenti cartesiani eravamo soggetti indagatori e consapevoli dell'errore derivante dalla nostra percezione sensibile.
Inoltre con Cartesio (e con Galileo) tale dubbio scientifico era la premessa dogmatica dell'innovazione, poiché, epistemologicamente, era viva la consapevolezza che i paradigmi di lettura del mondo non andavano accettati come dogmi, ma come strumenti.
Tuttavia il paradigma moderno, nel momento in cui ha relegato l'innovazione nell'ambito della tecnica, ha costretto le forme ad una ripetizione reiterata, con poche sperimentazioni e prototipizzazioni (principalmente consumate, nell'architettura, nella prima metà del XX secolo).
La decomposizione paradigmatica dell'unità compositiva in elementi tecnici (struttura, tamponamento, impianti, ecc...) ha aggiunto l'evidente depotenziamento della nota triade vitruviana (utilità, solidità spazio temporale, bellezza), poiché si è dovuto concedere, nelle opere d'architettura, sempre maggiori spazi tecnici, che hanno tradotto l'architettura dall'essere riparo e rappresentazione civile ad essere macchina - utensile - interfaccia.
L'incapacità di attuare quel controllo previsto dal paradigma moderno ha condotto ad un progressivo abbandono della triade vitruviana (posto che essa costituisce uno dei primi paradigmi dell'architettura occidentale), degli equilibri interni che essa proponeva.

design parametrico 
 da http://ghhummingbird.wordpress.com
Infine anche il sodalizio tra rappresentazione, costruzione e coerenza sistemica e formale è stato sottoposto a decomposizione, col risultato che gli stessi strumenti paradigmatici hanno cominciato a prevalere uno sull'altro, fino alla recente vittoria della rappresentazione.
La più recente rappresentazione digitale è effetto (e non causa) di questo progressivo scollamento tra il design e l'oggettualità del mondo. Si è formato un layer funzionalmente svincolato dal mondo in cui si rimescolano l'immaginario, l'innovazione tecnologica, la sperimentazione formale, in cui collidono e si ibridano intere famiglie geometriche. La porosità e l'elevata (e complessa) interattività di questo layer ne garantiscono  un generico continuo rinnovo (ma anche un sotterraneo riciclo di ipotesi formali), senza che sia necessariamente richiesta (a prova di efficacia) alcuna ricaduta sul mondo.
In tal senso (e solo nel contesto di quel paradigma moderno di controllo) oggi il Blob (e i suoi derivati) costituisce la rappresentazione simbolica di una dimensione compositiva autoreferenziale, in cui il controllo non è condizione necessaria e per il quale risulta paradigmaticamente impossibile dar conto di una scomposizione in elementi delle opere d'architettura.
La sua efficacia risiede dunque non solo nella novità delle forme (affascinanti e seduttive perché son tutto tranne che semplici macchine, così come molti altri prodotti smart contemporanei), ma anche per la sua aderenza a quel paradigma della simultaneità che stiamo cercando di delineare e comprendere. Ogni forma-Blob ne racchiude (in una densità indefinibile) infinite altre, il suo infinito non è misurabile per estensione, ma per densità ed inclusione. Ogni curva potrebbe essere molte curve, per questo si pensa che il Blob sia genericamente biomorfo (dunque per la sua potenziale varianza). In realtà chi ha analizzato i principi formali negli organismi viventi ha rilevato che le forme naturali seguono un radicato principio di necessità, poiché in natura l'errore si paga con l'assenza.

La mia personale e conclusiva nota sul rapporto tra Blob e soggetto è la seguente: stiamo sperimentando una straordinaria vertigine per cui siamo immersi (e parzialmente inconsapevoli) in una sovrapposizione tra immaginario e realtà, tra potenza e atto, tra un futuro che ci appare simultaneamente angosciante e innovativo, in un contrappunto poderoso al paradigma moderno; ora il problema, in questo oceano di possibilità, è l'applicazione della progettualità stessa, e del suo essere in primis decisionale, ovvero un setaccio del possibile. Saremo noi sufficientemente colti (e in grado di contemplare ragionevolmente) al punto di non perderci nella realtà aumentata della rappresentazione collettiva dei nostri immaginari?

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