critics+practices in contemporary architecture and spatial planning - critica, teoria e prassi in architettura e pianificazione urbana

venerdì 26 ottobre 2012

AMNESIA, sull'identità territoriale


Oggi il nostro rapporto con l’urbanità è estremamente complesso, e la continua inurbazione registrata dalle demoscopie lo renderà ancora più centrale di quanto non lo sia già.
Poiché la città costituisce la più grande rappresentazione della quotidiana (e millenaria) antropizzazione del territorio. Nella città si sommano e intrecciano infatti il risultato dell’antropizzazione e l'immediata trasposizione simbolica della civiltà. Semplificando: gli edifici sono al contempo oggetti concreti e rappresentazione di una volontà civile di controllo del territorio.
Da qui nasce la principale complicazione, poiché la città ci propone ogni giorno la schisi inevitabile tra la volontà del singolo e le ragioni del collettivo. Nella città si mette in scena ogni giorno la drammaturgia del rapporto tra pubblico e privato. Ma si badi bene: senza città non ci sarebbe percezione diretta del pubblico, nelle campagne i confini dello spazio privato sono più profondi e radicati rispetto a quanto accade in città, a dispetto dell’apparente uniformità del paesaggio.
Il nostro rapporto con il territorio, al di là delle indiscutibili ragioni economiche e sociali legate alla sopravvivenza, è un rapporto intimamente conflittuale. Avvengono conflitti tra il pubblico e il privato, tra i privati, tra azioni singole e interesse collettivo, tra trasformazioni che coinvolgono la collettività e gli interessi privati, ma anche tra l’azione antropizzante (con la propria impronta ecologica) e le esigue capacità rigenerative del bios naturale che le sopporta e supporta. 
Il territorio (inteso geograficamente come risultante della prima con il secondo) è l’archetipo nascosto della nostra auto rappresentazione a grande scala.
L’urbanistica è una disciplina recente (ha poco più di un secolo), tappa obbligata dal transito da una civiltà economicamente agricola ad una marcatamente industriale. Essa ha originariamente assunto come linee guida l’insegnamento dell’impero più urbanizzante della storia: l’Impero Romano. 

La centuriazione romana in alcune porzioni del territorio italiano è ancora visibile.

La 'griglia' a New York (foto anni '30).
La griglia diviene l'archetipo di ogni atto progettuale, nella visione di Superstudio.


I fondamentali di un progetto territoriale sono la democratica ripartizione della popolazione (in termini di quantità di spazio e di accessibilità alle risorse) e le reti infrastrutturali (per la circolazione delle merci e per il controllo capillare del territorio da parte del potere centrale). Questi fondamentali sono riscontrabili negli interventi di Haussmann a Parigi e in quelli di Cerdà a Barcellona nella seconda metà del XIX secolo.
Il rapporto con la città storica e i suoi monumenti (e a ben vedere lo stesso concetto di monumento) sono un po’ più recenti. Nel XVIII secolo i monumenti erano illuministicamente votati a dare rappresentazione all’autodeterminazione umana, verso la fine del XIX secolo il monumento diviene documento storicizzato di un passato. Questa visione si acuisce con le ricostruzioni del secondo dopoguerra: occorre recuperare una radice storica per non soccombere di fronte alla enorme responsabilità di ricostruire intere parti di città.
Lo stesso Mumford (uno dei più trasversali studiosi del rapporto tra architettura e città) scriveva nel ’47 che vi era la necessità culturale di fissare le linee guida di una Nuova Monumentalità. Quello che era in gioco era infatti una sorta di patto urbano fondato sulla convivenza tra individui differenti in un territorio ad elevata densità e meccanizzazione, tenuto insieme solo da una capillare rete di spazi pubblici e dalla convinzione che l’urbanità porti per il singolo maggiore benessere. E la guerra aveva indubbiamente colpito nel cuore questo patto urbano.

Dalla fine degli anni ’60 gli studi urbani divennero consapevoli che erano necessari strumenti più antropologici per leggere e comprendere le città dal punto di vista progettuale. ‘L’Architettura della Città’ e ‘La Città Frontale’ spinsero uno in direzione del dato memoriale di fatti urbani e l’altro in quella di considerare la città come un’opera d’arte. Dunque ai paradigmi economici e sociali si aggiunsero quelli derivanti dall’antropologia culturale e dell’estetica.

Oggi la città è lo scenario principale in cui rappresentare e rappresentarsi l’identità (collettiva e singola). Ne sono state esempio (seppur degradante) le monumentalistiche review nell’estetica dei centri commerciali che per circa 30 anni hanno recuperato dall’immaginario monumentale e storicistico l’idea di come realizzare un pezzo di città per mimesi culturale. Per l’antropologia culturale, infatti, non esiste luogo senza memoria. 
E gli antropologi che hanno visto le realizzazioni degli ultimi 30 anni sono solitamente d’accordo nel definire non luoghi questi tentativi mimetici.
D'altro canto anche il concetto di identità è estremamente liquido, ovvero in costante riflusso tra i paradigmi. Le più recenti ricerche di Baumann hanno rilevato come il rapporto tra l’identità e il luogo di residenza siano sempre meno di carattere mnemonico. La tendente dipendenza dei fondamentali dell’esistenza (lavoro, welfare, economia) da capitali sempre più nomadici sta corrodendo il concetto stesso di appartenenza territoriale, mettendo in luce come essa sia un fenomeno dinamico e non un’ipostatica costante. 
In altre parole non si mette, oggi, in discussione un passato documentale, quanto la possibilità stessa di delineare (e immaginare) il futuro.

Negli anni ’90 l’immaginario collettivo si dedicò alla rappresentazione dell’amnesia come stato di afflizione dell’individuo. La letteratura e il cinema ne indagarono gli anfratti nascosti, mostrando come non fosse più possibile fondare l’identità sulla memoria (Blade Runner ne fu un eccellente anticipazione, affiancato da Memento, Matrix, Tokyo non ci vuole più bene…). Dal punto di vista dell’urbanità potremmo dire che viviamo in una condizione per cui la città non ci appartiene più in modo memoriale, ne siamo sempre ospiti e sempre meno cittadini. Questo significa che le sovrastrutture (anche virtuali) che regolano le informazioni sulla città devono essere sempre più accurate e diffuse, ma funzionano in supplenza della nostra amnesia costante. Abbiamo navigatori, smartphone e occhiali a realtà aumentata per collegarci ad una realtà urbana nella quale non esiste memoria tangibile di ciò che la nostra civiltà sta diventando.

E’ possibile immaginare un futuro senza memoria? E se l’amnesia fosse l’unica strategia possibile per poter ricercare proprio il futuro, come se l’eccesso di cultura e conoscenza fosse un ostacolo alla realizzazione di un’identità collettiva votata ad un presente continuo, nel quale agire creativamente e senza preoccupazione per fondare strutture di senso e rappresentazioni collettive come solo la città storica è stata?

Senza dubbio la società ha oggi una rappresentazione collettiva a costo zero (rispetto alla costruzione di architetture e città): il social network. In esso si riversano le nostre memorie giornaliere (foto, appunti, saggi, musica, video) ma anche gran parte della progettualità che ci contraddistingue come specie (videogiochi in rete per costruire città immaginarie, come SimCity e correlati). Esso costituisce anche uno strumento di crowding indiscutibilmente potente: il social network aggrega intenzioni e potenzialità per progetti provenienti dal basso, ovvero bottom-up
Ciò che ancora manca (ma che l’attuale legislazione urbanistica sta mettendo in campo) è di connettere questa collettivizzazione di intenti con la progettazione territoriale, in modo che un intero territorio possa essere espressione di un’identità collettiva di nuovo tipo, un’identità espressione di singoli utenti che partecipano attivamente ad una rete di produzione di senso.
La smartcity è un neologismo che tenta di raccogliere questi paradigmi in un modello di sviluppo urbano alternativo. La sua novità consiste a mio avviso in:
-          Introdurre nuovi strumenti di trasformazione del territorio, modificando le sovrastrutture intangibili piuttosto che intervenire sulle strutture tangibili
-          Introdurre strumenti di collettivizzazione delle decisioni
-          Ridurre al minimo l’impiego di territorio
-          Intervenire in modo interstiziale e nei luoghi residui, istituendo una versione edulcorata di riciclaggio degli ‘scarti territoriali’
-          Fissando i principali obbiettivi delle proprie strategie per il futuro nel potenziamento della società urbana e nella riduzione dei costi per le trasformazioni urbane
-          Sancendo l’identità territoriale come conditio sine qua non per il futuro degli insediamenti urbani

Per queste ragioni, oltre a smart city, è stato introdotto anche il termine urban village, con chiaro riferimento al villaggio globale di McLuhan. La soluzione di problemi globali si affronta in modo locale, compiendo una rivoluzione che (letteralmente) ci riporta ad una società radicata nel territorio, ma necessariamente molto più alfabetizzata dal punto di vista informatico.

Superkilen, parco urbano a Copenhagen.


L’esempio con cui vorrei concludere è la recente realizzazione, a Copenhagen, del parco urbano di Superkilen, a cura degli architetti BIG, dei paesaggisti di Topotek1 e degli artisti visivi di Superflex.
La realtà multietnica del quartiere di Copenhagen è stata rappresentata nella lunga striscia del parco urbano attraverso una partecipazione gestita sui social network, nel quale era stato reso pubblico il masterplan di progetto. Scrive Ingels (BIG): “potevamo disegnare un’area urbana scegliendo il meglio del design danese più attuale e premiato. Invece abbiamo deciso di raccogliere l’intelligenza locale e l’esperienza globale di 60 diverse nazionalità e culture in fatto di arredo urbano”.

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